Speciale Sanremo 2025: Geppi, sui tacchi alti
Il vero motivo per cui teniamo le donne in seconda fila.
Carlo Conti è un conduttore Rai. Anche Geppi Cucciari è una conduttrice Rai. Ma quando c’è stato da decidere a chi affidare l’evento più importante dell’anno per le reti nazionali, la scelta è caduta su di lui, l’Abbronzatissimo in Cravatta, rigido come il palissandro di cui insegue la tonalità, e non su di lei, che ieri sera l’ha preso e portato a spasso, sparando una quantità di battute, frecciate e bon mots da lasciarlo disorientato e costretto a rincorrerla. Guardandola ho ripensato a Drusilla Foer, che delle co-conduttrici sanremesi era il gold standard, però Geppi un suo programma di prima serata ce l’ha, si chiama Splendida Cornice e va in onda ogni giovedì.
Avrà detto di no, Geppi? O non è mai stata considerata? Qualcuno lo sa, ma non sono io. Questa mattina, ripensandoci, mi sono ricordata della vecchia battuta di Ginger Rogers sul fare tutto quello che faceva Fred Astaire all’indietro e sui tacchi alti: è successo anche durante la serata delle cover di Sanremo, l’abbiamo visto tutti. Geppi si è presa la scena e se l’è portata a casa, eclissando tutti, incluso Mahmood, che ha preso vita solo durante i pochi minuti di esibizione con il medley dei suoi pezzi. E se da un lato è stato un sollievo (momento incredibile: quando ha sfottuto Il Volo in faccia mentre Gianluca le stava letteralmente dicendo che era suo fan), dall’altro ci siamo dovuti ricordare che la conduttrice non era lei. Che il titolare, quello che parla continuamente di sé stesso e dice cose come “Il mio Sanremo”, manco fosse il proprietario, era quell’altro. E anche stasera ce lo dovremo sorbire, sarà tutta una finale di battute smorzate con spiegazioni non necessarie, richiami stizzosi alla velocità e BELLA BELLISSIMAAAA rivolto di continuo alle donne presenti, che la regia puntualmente inquadra con carrellata dal basso verso l’alto, per ricordarci che siamo prima di tutto corpi.
Il rispetto per le donne è annunciato, declamato, dichiarato ma non praticato, non agito, non introiettato in pienezza. In questo senso, Sanremo rappresenta benissimo cosa intende la società italiana per “rispettare le donne”, vale a dire: non le meniamo, non le insultiamo in pubblico, non diciamo apertamente che non dovrebbero votare o lavorare, ma nella pratica facciamo di tutto per ridurle a funzioni, che siano decorative o riproduttive poco importa, l’importante è che siano ancillari, a disposizione del sistema. Anche (e soprattutto) quando le loro capacità mettono ulteriormente in risalto la mediocrità maschile.
Carlo Conti è promosso dagli ascolti elargiti da un pubblico (che mi include, me ne rendo conto) passivo: Sanremo si guarda perché Sanremo si guarda, punto, e si guarda con qualsiasi conduzione, anche la più legnosa, perché anche in quella legnosità leggiamo codici, consuetudini e cultura di questo paese, la determinazione a nascondere e minimizzare tutto quello che è strano, inconsueto e fuori dai canoni. Eppure l’Italia che conosciamo e in cui abbiamo vissuto negli ultimi ottant’anni nasce proprio da una ribellione, dalla capacità del suo popolo di pensare fuori dagli schemi di un regime repressivo e immaginarsi un mondo diverso: no, non è anacronistico dichiararsi antifascisti, perché l’antifascismo è un insieme di valori che si mantengono costanti nel tempo, non ancorati all’esistenza di una dittatura ma essenziali a impedire che la dittatura si ripresenti. L’antifascismo è un orientamento politico di base, è la cosa che ci fa respingere l’idea di sacrificare un’identità o un gruppo di persone nel nome di una suprema unità. È stata la dissidenza, la non conformità attiva, a creare l’Italia come paese libero. Non certo il paternalismo, i BELLA BELLISSIMAAAA1 e i jingle orrendi che alla terza volta che li senti ti vuoi strappare le orecchie.
Geppi Cucciari sarebbe stata perfetta, perché non nasce come spalla ma come protagonista, ha i tempi, la cultura, il sarcasmo, l’intelligenza, la capacità di gestire anche le situazioni goffe, che a Sanremo si creano sempre. Averla alla conduzione l’anno prossimo sarebbe bellissimo. Non succederà, perché alla Rai della modernità del programma, ormai è chiaro, non importa niente. A un Sanremo divertente e un po’ anarchico preferisce un Sanremo ingessato e prevedibile, in cui nessun notabile venga perculato in Eurovisione.
Le canzoni, allora
Prima di tutto voglio capire una cosa. Se dobbiamo prendere alla lettera il testo della canzone portata sul palco da Paolo Kessisoglu e sua figlia Lunita (che avrebbe anche un nome d’arte, Iamolliee, ma è stato citato solo di striscio, come a dire: che buffi questi giovani), allora perché non dovremmo fare altrettanto con Bella stronza, eseguita da Fedez con Marco Masini?
Mi spiego meglio. La canzone di Iamolliee - accetto di essere io quella antipatica che lo dice, perché gli adolescenti non vanno trattati come animaletti tanto carini ma presi molto sul serio - non era granché. Lei era emozionata, non ha cantato bene, il padre incombeva su di lei togliendole il poco spazio personale che avrebbe potuto conquistarsi andandoci da sola, ma del resto: ci sarebbe mai arrivata, da sola? Forse no, perché la canzone non era granché, appunto. Didascalica, nel suo tentativo di raccontare un fenomeno di cui ci si sta occupando sempre nei modi sbagliati: ma era il Momento Educativo, a Sanremo anche se abolisci i monologhi2 ce n’è sempre almeno uno. Il valore artistico della performance era del tutto secondario rispetto a quello pedagogico.
A parità di palco, però, mi domando: come si combinano fra loro una canzone sul disagio esistenziale giovanile con una che si fonda interamente sull’idea che un uomo abbandonato non possa che covare un rancore distruttivo e violento nei confronti della sua ex, colpevole di avergli preferito qualcun altro? Bella stronza era orrenda negli anni ‘90 e lo è pure oggi, e Masini è stato per decenni il cantore del rancore misogino degli uomini, vale a dire il motivo per cui chiediamo che venga introdotta l’educazione sessuoaffettiva e relazionale nelle scuole. Il fatto di aver omesso dal testo i versi in cui la voce narrante esprime il desiderio di stuprare la ex per punirla dell’offesa al suo orgoglio dimostra in primis una certa mancanza di coraggio (hai scelto quel pezzo? Fallo tutto e accollati la reazione) e in secundis la consapevolezza che quella è una canzone violenta. Non è eliminando due versi che la fai diventare una canzone d’amore deluso.
Lo ripeto: se devo prendere alla lettera la canzoncina in cui padre e figlia parlano della gestione di una depressione, devo o no fare altrettanto con una le cui voci narranti si danno man forte nell’incubare odio verso una donna che ha scelto un altro? Cosa me ne faccio dei ripetuti richiami al consenso, se si disconoscono le radici della sua violazione? L’opera d’arte è opera d’arte, e io rispetto la libertà dell’artista di dire cose sgradevoli, brutte e disturbanti, ma qual è il senso di una canzone così nel contesto di una manifestazione che ha messo il veto su qualsiasi contenuto politico? E come devo leggere il fatto che quell’obbrobrio abbia conquistato il podio della serata?
Sul resto non c’è molto da dire. Ci sono state cover belle, cover brutte, cover orrende, un momento in cui ho sperato che uno dei direttori d’orchestra di questa edizione non stesse assistendo alla macellazione di una delle canzoni a cui è legata la sua fama. Giorgia e Annalisa hanno vinto le Olimpiadi dell’Ugola, ma il secondo posto di Lucio Corsi, vero underdog di questa edizione, ha aperto squarci di sereno. Il duetto con Topo Gigio poteva essere lezioso e imbarazzante: è stato insolito, delicato, giocoso ma preciso nell’esecuzione e nell’intreccio delle parti. Grazie, Lucio. Adesso vai e vinci per noi: anche se hai detto che la musica non è una gara, abbiamo più che mai bisogno di sentire che esistiamo.
Giulia
Vale la pena di riscoprire la storia delle prime deputate italiane, che rifiutarono di essere definite “deputatesse”, termine canzonatorio e del tutto insensato dal punto di vista morfologico. Furono le prime a votare, ridefinendo il ruolo delle donne in una società che fino a quel momento le aveva trattate solo come ancelle.
E per fortuna, dai, vista la qualità media e anche quanto erano fastidiosi dal punto di vista simbolico.
"Il fatto di aver omesso dal testo i versi in cui la voce narrante esprime il desiderio di stuprare la ex per punirla dell’offesa al suo orgoglio dimostra in primis una certa mancanza di coraggio (hai scelto quel pezzo? Fallo tutto e accollati la reazione) e in secundis la consapevolezza che quella è una canzone violenta. Non è eliminando due versi che la fai diventare una canzone d’amore deluso."
ECCO, grazie.
Pensa… ad essere donna e magari pure Mixed/nera… debbo per forza raddoppiare le tue riflessioni!