Cose da fare dopo il 25 novembre
Questa settimana: una riflessione generale sulla manifestazione di sabato scorso, e una proposta di piano di azione maschile
Piazze, piazze piene. Strade, parchi, città intere invase da una marea di gente con cartelli, striscioni, segni rossi in faccia. A maggioranza giovani, ma non solo. Le foto della manifestazione nazionale a Roma sono impressionanti: la stima è di almeno 500.000 partecipanti, ma potevano essere di più. Di sicuro ce n’erano più che al Pride, che comunque è stato il più partecipato da che ne ho memoria e ci vado. C’era talmente tanta gente che la convocazione al Circo Massimo è stata interpretata in maniera piuttosto elastica, e quando il carro di Non una di meno ha cercato di partire, viale Aventino era già tutto pieno di gente e la folla arrivava fino ai piedi del Celio. In pratica, la testa del corteo è partita in coda e ha superato il primo troncone a via Labicana1.
È triste che per portare tutta questa gente a manifestare ci siano volute la morte di una ragazza e l’indisponibilità di sua sorella a interpretare il ruolo della parente chiusa nel suo dolore, ma indietro non si torna. E quest’anno, più che gli altri anni, la partecipazione maschile è stata rilevante, si direbbe quasi massiccia. Uomini e ragazzi hanno sempre sfilato il 25 novembre, come lo fanno l’8 marzo, ma questa volta erano veramente tanti. Questa volta, più che altre volte, la presenza maschile era visibile e significativa.
Io arrivavo dall’ennesima trasferta, un Roma-Firenze-San Marino-Roma che ho accusato più di altre volte, anche perché finalmente la mia stanchezza emotiva e fisica ha un nome e una causa fisiologica, e forse potrò cominciare a trattarla: ma intanto devo osservare una dieta, che per me che alla domanda “Hai preferenze alimentari” ho sempre risposto “Mangio tutto” è molto destabilizzante. Insomma, al corteo ci sono arrivata un po’ crepata, ma mai come quest’anno era importante esserci. Anche perché per la prima volta ho sfilato dietro a uno striscione, quello di AANT, insieme a colleghi e colleghe, studenti e studentesse.
E adesso?
Le manifestazioni del 25 novembre non sono l’inizio di qualcosa di nuovo. Bisogna pensarle più come l’ultimo episodio con finale trionfante della nuova stagione di una serie che va avanti da decenni: il cast si è rinnovato, molte facce non ci sono più e ne sono subentrate altre, ma la storia è sempre la stessa, sempre quella dei movimenti femministi che ogni tanto danno uno strappo, tirano la storia da un’altra parte. È successo nel 2017, con i movimenti antimolestie. Sta succedendo ora, dopo che per anni le donne e i collettivi transfemministi hanno lavorato senza ricevere grande attenzione o credito da parte della popolazione generale, ma esattamente come i movimenti antimolestie2 devono vedersela con l’ostilità dei media nazionali, della stampa conservatrice filogovernativa e megafono dell’estrema destra, e con le reti televisive ormai quasi del tutto in mano ai partiti di maggioranza.
Lo dicevo la settimana scorsa: il rischio è che questa fiammata non sia un incendio indomabile ma piuttosto un fuoco di carta, vivido e rapidissimo, e che subito si spegne. Giulia Cecchettin non è stata l’ultima donna a morire per mano di un uomo con cui era in relazione: ce ne sono state altre, ma non ne abbiamo parlato, perché la loro morte non ci sembrava simbolica. Non era la morte di una ragazza giovane e innocente, con tutta la vita davanti e così generosa ed empatica da non voler ferire l’ex fidanzato, che ha risposto alla sua empatia con le coltellate. Non c’erano sorelle femministe con lo sguardo fermo, capaci di stare davanti a una telecamera e sorprendere un paese con una dichiarazione politica. Il dolore collettivo per la morte di Giulia Cecchettin svanirà presto, se non lo trasformiamo in carburante.
I movimenti femministi lavorano già da molto tempo per emancipare le donne e le soggettività LGBTQ+. Quello che manca è un movimento degli uomini eterosessuali e cisgender, gli unici a non avere ancora affrontato il percorso collettivo di analisi e decostruzione della loro identità all’interno del patriarcato. Tutte le altre soggettività sono state costrette a farlo, perché ne andava e ne va tuttora della loro vita, libertà e autodeterminazione. Gli uomini eterocis no. E a giudicare da quello che ho visto sabato, direi che la volontà c’è: manca un piano per farlo. E allora:
Indicazioni generali per un piano d’azione maschile sulla questione di genere
Un po’ di cose le ho dette in questo articolo di Ludovica Lugli per Il Post.
In sintesi: meno proclami, più fatica.
Più in lungo:
Identificate i vostri pensatori e avviate delle conversazioni serie. C’è ovviamente Lorenzo Gasparrini, i cui libri sono già dei capisaldi sul tema, ma non è l’unico. C’è Mica Macho. C’è
, con la sua newsletter intitolata . C’è pure, anche se lui non ci crede troppo, , che in e in un po’ tutto quello che scrive guarda alla questione di genere dal punto di vista dell’ambiente del gaming e della cultura nerd, e spesso ne scrive. C’è , che in scrive di calcio ma anche, spessissimo, del problema che il calcio ha con le donne e la violenza contro le donne. C’è, da tantissimo tempo, il Cerchio degli uomini. E sono solo i primi sei che mi vengono in mente. Sono sicura che ce ne sono altri. Confrontatevi, citatevi a vicenda, costruite pensiero sul pensiero. La dialettica culturale si fa così. Si può cominciare, per esempio, da questo fresco fresco di , che avevo deciso di linkare qui prima di vedere che mi citava, giuro.Trovate degli spazi. Possono essere spazi virtuali, chat, gruppi Whatsapp o Telegram, ma anche - e sarebbe bellissimo - spazi fisici, in cui discutere e confrontarsi ma anche provare a fare spogliatoio in un modo che non passi per il bisogno di dominanza sulle donne. L’attivismo richiede collettività, e in questo, come nella strutturazione ideologica, gli uomini eterocis hanno perso terreno rispetto ai gruppi incel o redpill, che si rafforzano a vicenda nella loro violenza anche costruendo spazi di vicinanza.
Datevi un obiettivo pratico. “Distruggere il patriarcato” è bello ma enorme, e ci vorrà un sacco di tempo: la distruzione del patriarcato sarà possibile solo quando un numero sufficiente di uomini rifiuterà di accettarne i dividendi, e fare massa critica è un lavoro lunghissimo e complesso. Gli obiettivi di lungo periodo sono scoraggianti, perché la gente dopo un po’ vede solo i fallimenti e non i piccoli successi. Ci sono cose molto più vicine e fattibili, che richiedono una partecipazione maschile massiccia perché appunto, riguardano gli uomini, ma che non necessitano di una grande strutturazione politica a livello individuale. Il primo che mi viene in mente è il congedo di paternità obbligatorio, paritario e retribuito, ma ce ne possono essere altri, solo in apparenza frivoli: perché non ci sono uomini nella ginnastica ritmica? E perché nel nuoto artistico gli uomini possono competere solo come singoli o in doppio con una donna? Non dico che debba cambiare per forza, dico che la disparità esiste, ed è interamente culturale. Identificate i vostri obiettivi e strutturate la lotta. All’inizio sarete pochi. Non perdetevi d’animo, il consenso si costruisce con la costanza.
Non cercate per forza il vantaggio individuale. Certo, il vantaggio esiste, avoja (Lorenzo Gasparrini ne ha parlato più volte, non starò qui a fare l’elenco delle cose che funzionerebbero meglio). Affrontare la questione di genere dal punto di vista maschile è prima di tutto giusto, e quello che è giusto non può essere legato all’opportunismo. Qualche giorno fa, a San Marino - posto che meriterebbe una newsletter a parte - Mauro Masini, che lavora con gli uomini maltrattanti, mi diceva che spesso gli uomini si avvicinano ai gruppi di autocoscienza perché hanno un problema familiare o relazionale. Risolto quello, se ne vanno. Quello che manca al maschile è un’idea di azione collettiva, fatta per tutti e non solo per sé, che è la cosa che distingue i femminismi dall’essere femmine, e il progresso comune dal trionfo della singola Eletta, per citare Michela Murgia3.
Sì, è faticoso. Certo che è faticoso, santa pazienza, chiedete a qualsiasi femminista quanta fatica ci vuole per fare un percorso insieme e contemporaneamente lavorare su di sé. La domanda è: volete davvero che le cose cambino? Se sì, dovete fare la vostra parte. Se no, amici come prima, ma voi un po’ più amici di Pillon di quanto non lo siamo noi.
Le date…
Il 28 novembre presento Sangue cattivo di Beatrice Galluzzi alla libreria Zalib. Ne ho parlato qui. Ci si prenota qui.
Il 9 dicembre ho due presentazioni a Più Libri Più Liberi:
11.30 alla Sala Nettuno per il podcast Nemiche geniali di Jennifer Guerra
17.00 alla Sala Marte con Dalila Bagnuli per il suo libro Anti Manuale della bellezza.
…e un annuncio
Ci si lavora da mesi (più per colpa mia che altro, eh?) ma alla fine pare che ce l’abbiamo fatta, o meglio, ce l’hanno fatta Cristiana Vaccaro e Francesco Zecca, che sono rispettivamente interprete e regista dell’adattamento di Brutta che debutterà con tre date a partire da dicembre. Eccole:
16 dicembre - Antodoco (RI), Teatro Sant’Agostino
17 dicembre - Scandriglia (RI), Teatro S. Antonio
22 dicembre - Bari, Officina degli Esordi (biglietti qui)
Sono molto felice di come Cristiana si è cucita addosso il testo originale, adattandolo a sé e al suo corpo: mi sembra la prova di una sostanziale universalità di un libro nato per parlare di tutte, e non soltanto di me. Spero tantissimo che piaccia anche a chi lo andrà a vedere.
Abbracci,
Giulia
La metto così perché voglio vedere chi va su Google Maps a fare i conti, e anche perché la toponomastica romana è bellissima.
Che comunque sempre noi eravamo, eh.
Che ne parla in Stai zitta!
Io la aspetto sempre la tua newsletter, ma certi giorni più di altri 🫶🏻🔥
Oddio, in che senso non ci credo troppo? Alla questione o in me stesso? (comunque grazie, ci si prova).